venerdì 13 gennaio 2017

Antropologia digitale: il futuro della musica di Achille De Tommaso – 13/01/2017 09:26:28

Non voglio tediarvi, qui, circa discorsi sul “tramonto dell’era dell’Hi-Fi”; quando, una volta, persone che potevano permettersi di spendere, acquistavano sistemi comprendenti amplificatore con “pre e finale” di alta classe, magari valvolare, e scatole separate e costosissime come CD player, Cassette player, tuner, giradischi (magari tangenziali) e casse. Le casse che erano la chiave di tutto e, spesso, erano anche la parte che da sola, poteva costare come tutto l’impianto. Ovviamente ci sono ancora alcune di queste persone; ma i loro Hi Fi sono visti come una Jaguar E-Type, come un’auto d’epoca; bellissimi da vedersi e da mostrare. Ma poco da usare, a meno che tu non sia un vero audiofilo. Un discorso a parte, poi, meriterebbero quelli che, ancora oggi, acquistano favolosi impianti Hi-Fi, tipo Bose o B&O; ma li comprano perché sono “belli da vedersi”, perché fanno arredamento; non perché, NECESSARIAMENTE, a loro piaccia la musica.
Ma qui voglio parlarvi della musica popolare, dei dischi, dei CD; perché, ora, il CD musicale sta morendo.
Il primo CD musicale vide la luce 34 anni fa, Si trattò del riversamento dell'album "The Visitor" degli ABBA, uscito su vinile il 30 novembre dell'anno precedente…Avete notato quanti negozi di vendita CD abbiano chiuso ? Se siete l’ultimo baluardo dei nostalgici, quelli che “non ho nulla da fare, vado a vedere le ultime uscite dei CD al negozio”, sicuramente avete il magone. Il CD sta soffrendo una delle più lunghe agonie nella storia dei prodotti di largo consumo, e sta diventando dolorosamente chiaro che i download digitali possono ben avviare il business della musica, venduta con i CD, verso il tramonto dei ricavi.
Come siamo arrivati ​​a questo punto? Cosa è successo? La risposta è semplice: ci siamo scrollati di dosso le catene di controllo delle etichette discografiche e abbiamo deciso di ascoltare la musica per quello che volevamo noi e niente di più. Niente più attese fino a quando il CD non è arrivato nei negozi, oppure che la canzone venga trasmessa dalla radio. Con l'avvento del PC e di Internet, è possibile scaricare ciò che si vuole (più o meno) quando si vuole. In maniera legale; anche se poi è importante parlare dei “pirati”.
Questo processo di digitalizzazione ha messo oggi noi, il pubblico, in controllo del mercato musicale. Si scopre ora che il valore percepito dal consumatore di musica è dettato dalla disponibilità di avere quel brano musicale “qui e ora”. Con iTunes e  Spotify, e prima con Napster, ad esempio,  si  paga per ciò che si chiede.
Ma questo pare non basti ancora per far uscire il settore della produzione musicale dallo stallo in cui riversa oggi.  Le major non l’hanno ancora capito; e se lo hanno capito, stanno reagendo male e in maniera scomposta.
Il mondo dei discografici ha combattuto aspramente il fenomeno del “download”. Lo sviluppo di internet ha portato, come si sa, alla conseguente diffusione di siti nei quali è possibile scambiare e condividere file musicali velocemente e, spesso, gratuitamente; saltando quindi qualsiasi tipo di intermediazione da parte delle case discografiche. Queste ultime, prese dal panico, hanno quindi intrapreso aspre battaglie legali; che hanno però portato a dei risultati solamente apparenti (vedi la chiusura di Napster), visto che non si è riusciti comunque a fermare la proliferazione di siti con funzionalità pressoché identiche a quelle di Napster. E poi, la stessa Napster è da poco rinata.
Anzi; iTunes (e altri similari)  hanno  simboleggiato il cambiamento dell’epoca della distribuzione musicale: si è passati dall’acquisto “in blocco” di brani, all’acquisto “per unità”.
I discografici, al tempo dei tempi, ci irritavano parecchio col “lato B” dei 45 giri (coi 78 giri c’era una migliore etica), con il farci comprare cose che non avevamo richiesto, e che, spesso non era all’altezza del brano “lato A”. Per poi acuire ancor più questa scorrettezza con i 33 giri (i “vinili” per definizione); e con i CD hanno proseguito in quest’azione: per avere quei due-tre brani che desideravamo dovevamo comprarne 20! Al costo di circa 20 euro. (Quando il costo di produzione è di 4-5 euro, ma viene caricato da royalties alte e da IVA sconclusionata rispetto a quella dell’editoria che è al 4%.)
Ma non è tutto qui: lo sviluppo delle tecnologie e dei supporti digitali ha permesso ai potenziali acquirenti di poter duplicare dischi a prezzi contenutissimi mantenendo pressoché inalterata la qualità del prodotto; tutto ciò, secondo le major, ha generato un costante e pesante calo delle vendite trascinando inevitabilmente il settore in uno stato di crisi. E come hanno reagito? Male; prendendosela con la pirateria, senza accorgersi che il mondo stava cambiando.
Le tesi delle major sono state infatti smantellate per una serie di motivi: prima di tutto ricerche di settore dimostrano come la quota di mercato della pirateria musicale, nonostante l’avvento della tecnologia digitale, sia rimasta negli anni pressoché invariata; in secondo luogo le grandi case discografiche sono accusate di osteggiare la distribuzione in rete senza comprendere che probabilmente questa rappresenti il futuro del mercato. Si possono infatti portare molti esempi di siti dove è possibile scaricare file musicali legalmente e a prezzi contenuti che hanno ottenuto risultati molto buoni. 
Il problema che appare oggi, però, è che ancora molte case discografiche sembra non abbiano chiaro questi concetti, o l’abbiano capito tardi. Per anni molte etichette discografiche si sono rifiutate di mettere i loro brani in rete (alcune, inizialmente, si rifiutarono anche di produrli in formato digitale). Quando poi, per forza di cose, sono passate al digitale, hanno utilizzato tecniche di DRM per impedire che i brani venissero copiati. Tutto inutile: tutte le tecnologie DRM possono essere scavalcate, anche se ciò è illegale. Semplicemente, quello che sicuramente le case discografiche hanno ottenuto, è stato di rallentare la diffusione dei loro brani; senza sviluppare strategie di distribuzione alternativa. Senza pensare, ad esempio, che i profitti potevano venire dalla pubblicità, e non dalla mera vendita, in blocco di alcuni pezzi. Le case discografiche hanno sempre adottato una strategia difensiva e sono sempre state un passo indietro rispetto alla domanda dei consumatori.
Il punto di vista viene quindi capovolto rispetto all'allarmismo imperante delle major discografiche; e oggi ci si pone la domanda fondamentale se il “download”  faccia veramente male alla diffusione della musica.  Cifre alla mano, pare che, al contrario, questa attività (compresa quella illegale), in modo  anomalo e peculiare, possa svolgere un servizio per il mercato; fungendo da moltiplicatore dei consumi (cfr. Silva, F. e Ramello, Dal vinile a Intenet. Economia della musica tra tecnologia e diritti, Torino, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli).
Ma, attenzione: ora abbiamo bombe demografiche a tempo.
Premetto: secondo il rapporto “Nielsen SoundScan”, più del 70% della musica, in USA, è oggi ascoltata attraverso download o streaming. E questa ultima metodologia è l’unica parte dei servizi di musica online che sta crescendo.
Veniamo alle bombe a tempo; la prima bomba è già scoppiata: quella dei “millennials” (la generazione Y) i giovani nati tra i primi anni ’80 e la metà degli anni ’90. Generazione caratterizzata da un maggior utilizzo e familiarità con la comunicazione, i media, le tecnologie digitali. Di rado, oggi, ascoltano CD e più ancora di rado li comprano. Però ascoltano musica e magari la ascoltano più delle generazioni precedenti. La ascoltano più spesso usando uno smartphone, o andando a concerti, o andando nei locali; o, quando a casa, usando una chiavetta USB nel proprio PC; o lo smartphone. Oppure il televisore, che ha ottimi canali musicali, buona riproduzione e anche il video.
Sempre più di rado usano i CD. (e in molte case il CD player è andato a fare compagnia al videoregistratore).
Vi siete accorti come suona oggi un “DJ avanzato” ? Usa un PC ed una consolle; la consolle “imita” un CD player, ma non accetta CD:  i brani musicali sono su una chiavetta USB, oppure risiedono nel PC. Dico “Imita” un CD player nel senso che permette tecniche di scratch eccetera. La bravura di un bravo DJ non sta tanto, solo, nello scegliere il brano giusto, quanto nel mixarlo con altri e mantenere costante il ritmo. E se non ha a disposizione (a causa del DRM) un certo brano, ne usa un altro, oppure compone brani musicali lui stesso. E questo è il risultato della prima bomba: il CD non sarà più (o non sarà più per niente) la fonte primaria dei guadagni sulla musica.
Ma la miccia è stata accesa su un’altra bomba a orologeria demografica. Un'intera seconda generazione di appassionati di musica è imminente: la generazione dei nativi digitali quelli che hanno oggi dai 12 ai 15 anni.
In questo ultimo decennio digitale del settore della musica, gli sforzi sono stati, e sono ancora, concentrati nella conversione degli acquirenti di CD in qualcosa che abbia a che fare con i download  e i file sharing (v. iTunes,)  cercando appunto di conquistare i Millennials.  Questa è ancora la strategia dominante di quelli che offrono servizi musicali online a pagamento; ma questa strategia sta lasciando i nativi digitali insoddisfatti, perché i loro bisogni differiscono da quelli delle generazioni precedenti. (Infatti, ad esempio, Spotify sta avendo problemi di fatturato).
I nativi digitali non masterizzeranno più CD e faranno sempre meno download nella maniera tradizionale (BitTorrent, iTunes ecc.); ma ascolteranno sempre, e sempre di più, musica; in un modo che sarà diverso. I millennials hanno digitalizzato l’analogico, perché avevano memoria dell’analogico. I nativi digitali saranno digitali e basta; senza reminiscenze; tutto quello che conoscono è digitale. Non compreranno più la musica “per unità” e per loro l’ “esperienza” sarà spesso più importante del contenuto. E il “free” infetterà tutto il settore.
Proviamo a dare una sbirciatina al futuro della musica digitale per capire come i nativi la ascolteranno:
Innanzitutto sarà soprattutto in streaming; non è necessario possedere un brano per ascoltarlo su smartphone in streaming, ma sarà utile averlo anche su chiavetta USB; su cui ognuno avrà caricato le proprie “playlist. Questo perché molti riproduttori sono dotati di questo ingresso. Inutile ricordare che lo hanno le auto e molti dei riproduttori di ultima generazione; tv compresi. I fornitori di questi servizi online, quindi, se non permetteranno il download su supporto esterno, potranno avere problemi. Come li sta avendo Spotify.
Questi nativi digitali, inoltre, vedono la musica come colonna sonora pervasiva dei loro ambienti interattivi, coinvolgenti e sociali. La proprietà conta meno, ma non deve essere esclusa. Il contesto e l'esperienza è tutto.
La musica dovrà essere messa in “cloud” su una nuvola, e resa accessibile e condivisibile in ogni momento. La musica potrà essere autoprodotta, con “app”, e condivisa in rete e mixata con i brani commerciali. Resa interattiva e coinvolgente. Il video online e mobile potrà poi essere una delle killer application.
In sintesi, la musica, per i nativi digitali, dovrà essere:
• sociale: nella nuvola.
• partecipativa: interattiva, condivisibile e coinvolgente.
• accessibile: la proprietà conta meno (ma conta), ma le questioni di accesso contano di più.
I produttori di musica lo capiranno? Il rischio è che un altro pezzo del loro mercato (quello che è disposto a pagare per alcuni pezzi) possa scomparire per sempre. A favore delle Over The Top.
Eh sì, perché la musica non scomparirà; scompariranno eventualmente gli intermediari discografici, a favore di Apple, Google, Youtube, ecc; i quali non guadagneranno necessariamente solo sui pezzi venduti, ma anche con la pubblicità e con l’appropriazione e vendita delle identità.
Non so se le case discografiche siano pronte; gli OTT sì.
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