La proposta di fornire all’Ucraina missili da crociera Tomahawk ha riacceso il dibattito pubblico e politico su quale sia il confine tra aiuto bellico efficace e rischio di escalation. Sul piano emotivo e simbolico i Tomahawk rappresentano una capacità di proiezione di potenza a lungo raggio che molte nazioni vorrebbero vedere in mano a Kiev. Sul piano tecnico e operativo, tuttavia, la proposta presenta limiti concreti e vincoli che ne riducono fortemente la fattibilità e l’utilità pratica: poche piattaforme in grado di lanciarli, scorte limitate, tempi di produzione lunghi, rischi di proliferazione tecnologica e vulnerabilità tattiche. Di seguito un’analisi articolata, fondata sulle informazioni disponibili pubblicamente.
1. Come si lanciano i Tomahawk — la questione delle piattaforme
I Tomahawk sono missili da crociera concepiti originariamente per lancio da navi di superficie e sottomarini equipaggiati con celle VLS (Vertical Launching System) o tubi di lancio. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno anche sperimentato e sviluppato versioni e sistemi per il lancio a terra (il cosiddetto sistema MRC/SMRF — spesso riportato in sede giornalistica con il nome non ufficiale “Typhon” o “Typhon/MRC”), ma questi sistemi sono ancora pochi, complessi e non sono stati prodotti in serie massiccia né dispiegati su larga scala. Pertanto, la semplice consegna dei soli missili senza piattaforme compatibili non risolve il problema operativo: se mancassero navi o sottomarini in dotazione ucraina capaci di usare Tomahawk, le testate rimarrebbero inutilizzabili senza un sistema di lancio terrestre adeguato e operativo.
2. L’assenza di piattaforme navali ucraine idonee
L’Ucraina non possiede oggi una flotta di cacciatorpediniere o sottomarini moderni equipaggiati con celle VLS in grado di lanciare Tomahawk. Ricostituire o acquisire tali piattaforme richiederebbe anni, investimenti ingenti e (soprattutto) la volontà politica di terzi Paesi di consegnare unità navali capaci — cosa che comporterebbe una chiara implicazione nell’evoluzione del conflitto e grandi rischi diplomatici e militari. Di conseguenza, il vettore navale tradizionale non è una soluzione immediata per trasferire capacità Tomahawk a Kiev.
3. La possibilità del lancio terrestre (Typhon/SMRF): reale ma limitata e vulnerabile
Negli Stati Uniti si è sviluppata una soluzione terrestre (SMRF / Typhon) che può impiegare Tomahawk: si tratta di lanciatrici su veicolo con celle ispirate al Mark-41 VLS adattate a una piattaforma mobile. Tuttavia, il numero di batterie testate e operative di questo tipo è molto limitato; il programma ha avuto fasi sperimentali, deploy relativi e ancora numerose sfide tecniche e logistiche. Un launcher terrestre rappresenterebbe inoltre un grande obiettivo statico o semistatico (nella migliore delle ipotesi) per l’aviazione, i missili antiradar e gli attacchi di precisione avversari: implementare e proteggere una capacità Typhon sul territorio ucraino implicherebbe spese ingenti in difesa per il solo scopo di salvaguardare il lanciatore, rendendo l’investimento potenzialmente poco vantaggioso.
4. Scorte limitate e ritmo di produzione: la realtà numerica
Le forniture di Tomahawk non sono “a pioggia” nello stock statunitense. Le risorse globali disponibili sono limitate: negli ultimi anni la produzione annua è stata dell’ordine di qualche decina di missili (stime recenti indicano produzioni annuali variabili, con cifre spesso riportate tra le 50 e le 90 unità annue, e piani di acquisto che non permettono afflussi massicci immediati). Inoltre, gli Stati Uniti hanno impegni di dotazione e riserva che privilegiano la propria flotta e alcuni alleati selezionati. Conseguenza pratica: anche volendo trasferire Tomahawk a Kiev, gli USA potrebbero disporre di poche decine di esemplari (se non meno) da poter cedere senza intaccare capacità strategiche proprie. Questo limita drasticamente l’effetto operativo e rende probabile un impiego soprattutto simbolico o dimostrativo piuttosto che decisivo.
5. Priorità degli alleati e distribuzione selettiva
Negli ultimi anni il Pentagono ha riservato la fornitura di tali capacità a un “cerchio ristretto” di partner strategici (paesi come Regno Unito, Australia, Giappone — che hanno annunciato o stanno acquisendo capacità correlate) e ha pianificato produzioni e trasferimenti con attenzione alla protezione della tecnologia sensibile. Non è quindi automatico che Kiev rientri, in tempi rapidi e su larga scala, in quella cerchia di beneficiari. Anche per questo motivo qualunque consegna sarebbe probabilmente piccola e attentamente condizionata.
6. Il rischio di perdita tecnologica e la cautela USA
I Tomahawk incorporano componenti e know-how considerati sensibili. La possibilità che parti della tecnologia possano cadere nelle mani dell’avversario — per esempio a seguito di cattura sul campo, recupero dopo un lancio fallito o da installazioni terrestri compromesse — è un argomento ricorrente nel dibattito politico e militare americano. Per questo motivo, oltre agli aspetti quantitativi, pesa una valutazione qualitativa sul rischio strategico-tecnologico che rende le autorità statunitensi molto caute nel concedere trasferimenti non sotto diretto controllo e garanzia operativa.
7. Impatto operativo limitato e conseguenze strategiche
Sul piano operativo, missili in numero esiguo avrebbero un effetto tattico o psicologico — potrebbero minacciare obiettivi profondi e costringere Mosca a ridefinire alcune priorità di difesa — ma non sono in grado, da soli, di cambiare l’equilibrio strategico del teatro. Sul piano politico, invece, la consegna di Tomahawk rappresenterebbe una linea rossa per la Russia, come già evidenziato dalle dichiarazioni governative, e comporterebbe il rischio di una reazione politica e militare di ampia portata. Questo duplice effetto — scarso impatto operativo reale se le quantità sono limitate, ma alto potenziale di escalation politica — è esattamente ciò che rende la decisione così complessa e controversa.
8. Conclusione: perché l’ipotesi è suggestiva ma alla prova dei fatti è fragile
Riassumendo i punti chiave:
senza piattaforme idonee (navi/sottomarini o launcher terrestri Typhon operativi), i missili non possono essere impiegati efficacemente; la sola consegna dei missili non basta;
i sistemi terrestri in grado di lanciare Tomahawk esistono ma sono pochi, tecnicamente complessi e vulnerabili; proteggerli sarebbe oneroso e rischioso;
le scorte USA e il ritmo di produzione sono limitati (produzioni annuali decine di pezzi), e le priorità di fornitura favoriscono già alcuni alleati stretti; quindi un trasferimento massiccio non è realistico a breve;
consegne in numero esiguo avrebbero più valore dimostrativo che trasformativo, ma aumenterebbero il rischio di escalation politico-militare.
Per tutte queste ragioni, l’ipotesi di dotare l’Ucraina di un’efficace capacità Tomahawk «chiavi in mano» appare, allo stato attuale, e più come uno strumento negoziale e simbolico che come una soluzione operativa pronta e risolutiva. Questo non riduce le esigenze difensive e offensive di Kiev né la legittimità del sostegno occidentale, ma impone di considerare alternative più pratiche: forniture di missili a medio-raggio già compatibili con piattaforme in dotazione, potenziamento della sorveglianza e dell’intelligence condivisa, supply chain per aumentare la produzione nel medio termine, e investimenti nella resilienza delle infrastrutture di lancio e nella difesa contro ritorsioni.
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