sabato 30 maggio 2020

La morte è un “ordine” di Achille De Tommaso 16-10-2018

La vecchiaia e la morte sono obbligatori solo negli organismi costituiti da più cellule.

Non vale il concetto esattamente per gli organismi unicellulari: essi sono per lo più immortali. Un batterio si riproduce per scissione; generando due, quattro, otto…miliardi di organismi. Tutti geneticamente identici e indistinguibili l’uno dall’altro. Loro possono dire di essere immortali.
Quando abbiamo smesso di essere unicellulari abbiamo guadagnato la coscienza, il pensiero, la sessualità, l’amore, la gioia, l’arte, la paura, la speranza. E la possibilità di avere figli, che sono esseri diversi da noi; magari migliori, ma diversi.
Ma abbiamo guadagnato la morte. In pratica, la morte è il prezzo che abbiamo pagato per dire “io sono”. E la paura della morte è lo scotto che abbiamo pagato per dire:” io sono perché penso”. La cosa curiosa è che la paura della morte è sempre molto forte anche nelle persone che non hanno alcun dubbio sul “dopo”.

LA PAURA DELLA MORTE CI MANTIENE IN VITA
La paura della morte, quando è paura del pericolo, ci è stata messa dentro dalle regole per l’evoluzione; ed è fatta per salvarci la vita. Senza di essa la stragrande maggioranza di noi non arriverebbe all’età adulta, e ci saremmo probabilmente estinti.
Ma la paura della morte, non è solo paura del pericolo: è una conseguenza della nostra capacità di pensiero astratto. Abbiamo paura non tanto del possibile dolore della morte; ma del “finire”, del cessare di essere “io”.
E mi fanno ridere quelli che pensano che la metempsicosi dia sollievo alla paura della morte: non lo può dare, perché non mi interessa di rinascere farfalla o coccodrillo: eventualmente io voglio poter rinascere essendo “io”. Con tutti i miei ricordi, le mie qualità e i miei difetti. Possibilmente con tutto quello che ho imparato dalla vita, comprese gioie e dolori. Se dovessi rinascere con un cervello pulito da ricordi ed emozioni, come quello di un bambino, non sarei “io”.

PAURA E SENSO DI COLPA
E la paura per la morte dei propri cari ? Ovviamente non è solo paura, ma c’è anche tanto dolore. E una delle componenti che accompagna il dolore per una perdita, è il senso di colpa. Il “senso di colpa del sopravvissuto”, che è stato ben messo a fuoco ascoltando la disperazione dei reduci dei campi di concentramento. E’ presente e costante in tutti i sopravvissuti di tutte le catastrofi, e spesso è il principale ostacolo alla ripresa di una vita normale. Se amo una persona, sento come un dovere impedire che muoia. Dal punto di vista antropologico dell’evoluzione è una ulteriore protezione.
Colpa e senso di colpa non sono ovviamente sinonimi: posso provare un atroce senso di colpa, anche se non sono colpevole. Tanto più forte è il mio senso di responsabilità, tanto più forte sarà l’impulso a combattere per salvare quelli che mi sono vicini, tanto sentirò il senso di colpa se sarò sconfitto.
Il senso di colpa, come tutte le emozioni negative: la paura, la rabbia, il rancore, il dolore per la morte di coloro che amiamo, ha il compito di preservare la vita. Un gruppo, una famiglia, una società, dove tutti hanno l’impulso di battersi per la salvezza di altri, ha un basso tasso di mortalità. Ma, ovviamente, non parlo solo di morte fisica. Ma anche di morte sociale; e, per quanto riguarda questo tipo di “morte”, è fondamentale capire non solo quale sia “il bene altrui”, ma anche capire chi siano gli “altrui”, partendo dal presupposto che non possono essere, realisticamente, tutta l’umanità. Infatti, se, per assurdo, si pensasse che questi “altrui” siano tutti (tutta l’umanità) allora ci si dovrebbe chiedere se il vero bene che cerchiamo non sia realmente quello del un numero finito di persone che ci sono vicine, ma piuttosto una gratificazione di regole nostre personali, magari eticamente valide, che, per definizione di etica, sono “relative”. E quindi, mentre fanno il bene di alcuni, possono fare il male di altri.

LA MORTE NON E’ DISORDINE
Dal punto di vista biochimico si parla di morte quando il nostro organismo non riesce più a mantenere la sua auto-organizzazione e il livello di entropia raggiunge livelli irreversibili. E questa potrebbe essere una definizione ufficiale della morte.
Per inciso, molti sanno che il concetto di entropia è stato preso a prestito dalla termodinamica, una scienza attempata, ma molto valida, e utilizzato per studiare e regolare l’infinitamente piccolo (gli atomi) e l’infinitamente grande: l’Universo. Cosa è in parole povere ? E’ disordine, ma in una accezione puramente scientifica; nella realtà indica che tutto scorre verso uno stato diverso, ma preordinato.
Perché la morte non è una disorganizzazione di cellule che prima erano organizzate, ma, a mio parere, è una prova che il sistema diventa più organizzato e complesso. Il prefisso “dis” di disordine presuppone un giudizio di valore peggiorativo; ma nella realtà questo giudizio è relativo: a noi appare che la materia vivente si decomponga verso uno stadio spregevole; ma i batteri di putrefazione ritengono, invece, che questo sia uno stadio ottimale per trasformare materia in energia (che, come sappiamo, non si disperde).
Ma veniamo al punto: la morte fa parte di un processo preordinato e scritto nelle nostre cellule, e questo dimostra la realtà di un certo ordine, e non indica assolutamente disordine. Esempio: sono sicuro che a nessuno di noi possa venire in mente che la carne vivente di un bambino possa essere di qualità più scadente di quella di un cucciolo di cane; e che, per questo motivo, il cane si debba usurare più in fretta. Ebbene, nell’orologio vitale del bambino c’è scritto che il suo sistema debba cessare di funzionare verso i 90-100 anni (lasciatemi essere ottimista), e in quello del cane tra i 15-20 (sempre ottimista). Perché? Le rughe sono forse dovute al fatto che le cellule “invecchiano”? Assolutamente no, visto che in media ogni tre anni, tutte le molecole della pelle, ma anche del cuore, delle ossa, sono sostituite.
Le rughe sulla pelle o la diminuita flessibilità della spina dorsale non sono un indice di usura delle molecole, ma che è arrivato un ordine dal sistema centrale di prossimità del termine delle funzioni vitali.
La morte non è quindi il fallimento della vita, ma è la dimostrazione di un suo ordine e dell’aumentata complessità del sistema vitale totale. E’ infatti , per un sistema vitale, più facile dare ordine di costruire e sostituire, permanentemente, cellule uguali, che dare l’ordine di costruirle diverse; a seconda degli anni che passano e della specie vivente coinvolta.
In pratica, un essere immortale è più facile da costruire, che uno mortale. La vita e la morte non sono un semplice ammasso casuale di atomi; ma fanno parte di un sistema altamente ordinato.
Le rughe sono semplicemente un segnale di orologio. Orologio utilissimo, perché ci dice quanto tempo abbiamo ancora per goderci la vita. Un orologio che ci incita a godercela soprattutto perché siamo vecchi. Avete notato che quando siamo giovani siamo sempre alla ricerca della felicità? Ovviamente senza mai trovarla.
Invece è probabilmente dentro di noi, in quella capacità che hanno gli esseri umani vecchi, di guardarsi dentro. E, forse, di raggiungerla.

Riferimenti:
“Anelli dell’Io” (Godel, Escher, Bach)
“Il Cavaliere, la Strega, la Morte, il Diavolo” (Silvana De Mari)
“Universo Diverso – Reinventare la Fisica da cima a fondo” (Robert Laughlin)

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