Gli “Oxford Dictionaries” eleggono ogni anno un certo numero di “parole dell’anno”(1). Queste parole sono in un certo senso neologismi dell’inglese; ma, mentre per la nostra Accademia della Crusca alcune parole vengono accettate come neologismi “quando si diffondono ed entrano negli usi della lingua per un tempo significativo”, per entrare nella lista dell’Oxford Dictionaries ci vuole qualcosa di diverso. La parola deve aver suscitato scalpore a seguito della sua pubblicazione. Il dizionario pubblica anche una motivazione della nomina delle varie parole individuate, ed elenca gli “inventori”.
Avete mai sentito il termine TECHLASH? C'è un motivo per cui la parola techlash è entrata nella shortlist della Parola dell’Anno di Oxford Dictionaries nel 2018.
La menzione si riferisce a una "parola che definisce una forte e diffusa reazione negativa al crescente potere e influenza delle grandi aziende tecnologiche; in particolare quelle con sede nella Silicon Valley e in gran parte deve la sua popolarità ai recenti scandali sulla privacy dei dati e alla copertura mediatica che li circonda.”
Ma le nuove parole, converrete con me, sono un segno dei tempi; e le preoccupazioni di coloro che criticano, nel merito, aziende come Facebook, Twitter e Google, derivano dalla crescente consapevolezza che l'effetto delle Big Tech sulla nostra vita potrebbe non essere così innocuo come pensavamo una volta. Gli americani sono consapevoli di ciò; e ne sono diventati maniacali.
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Facebook, in particolare, il sito di social media che conta un quarto della popolazione mondiale come base di utenti, è accusato di usare la manipolazione politica per indurre i suoi utenti a favorire un candidato politico piuttosto che un altro. In particolare di essere, negli USA, prevenuto contro i conservatori. Che Facebook manipolasse i nostri dati, in realtà, lo sapevamo già; ma che addirittura manipolasse le informazioni che ci raggiungono, con filtri e censure, potrebbe essere per molti una novità. In particolare potrebbe essere una novità pensare che i social media, o alcuni di essi sono chiaramente orientati a favorire partiti politici.
Vediamo qualche dettaglio.
Gli americani sono diventati talmente sensibili a questo fatto, che hanno iniziato a fare sondaggi per capirne di più. In un sondaggio denominato “American Barometer Hill.TV” (4) del luglio 2018, è stato rilevato che il 58% degli elettori ritiene che i social media, Facebook in particolare, siano ingiusti nei confronti dei conservatori.
Personaggi noti e attivisti politici repubblicani hanno, infatti, per mesi, accusato Facebook e le cosiddette “grandi aziende tecnologiche” per la tendenza a favorire i “liberal”; in effetti un certo numero di commentatori di alto profilo di destra sono stati banditi dai siti di social media. Nei confronti dei “liberal”, invece, queste misure non sono state mai adottate; anche in presenza di post violenti ed altamente offensivi.
Gli alti dirigenti di queste aziende tecnologiche però hanno fortemente negato che esse discriminino deliberatamente i conservatori; ma privatamente molti di questi dirigenti hanno espresso preoccupazione per il fatto di dover ammettere che, nonostante gli sforzi per eliminare notizie false e messaggi diffamatori, i “social” danneggino quasi sempre le opinioni espresse da conservatori.
Come dicevo gli americani sono molto preoccupati di questo fatto e, in risposta a questa presunta censura di sinistra, diversi imprenditori hanno avviato alcuni social media definiti “politically unbiased”. A questo linki un esempio (2). Finora, tuttavia, non sono riusciti, come c’era da aspettarsi, a sviluppare un vasto pubblico.
Un altro sondaggio nazionale condotto negli USA più di recente, nel luglio 2019, dalla Echelon Insights (3) ha rilevato che la maggior parte degli americani ritiene che le principali aziende tecnologiche siano di parte.
Echelon Insights ha condotto questo sondaggio su oltre 1000 elettori casuali negli Stati Uniti per scoprire le loro opinioni su alcune questioni ritenute urgenti come la censura che si riscontra nei social media e la regolamentazione degli algoritmi degli stessi per evitarla.
Il sondaggio è stato effettuato anche in relazione alla proposta del senatore Josh Hawley di "regolare gli algoritmi dei social media per evitare i pregiudizi politici" ed è stata favorita dagli elettori sia repubblicani che democratici.
La domanda di base è stata: "Di recente si è discusso dell'idea che siti Web come Facebook, YouTube o Twitter siano politicamente di parte e stiano sopprimendo le opinioni con cui non sono d'accordo. Consideri questo un problema? ”
Anche qui il 59% degli elettori ha ritenuto che esista un pregiudizio nei social media e che si tratti di un problema. Tra tutti i voti espressi, il 68% dei repubblicani, il 61% degli indipendenti e il 53% dei democratici ha ritenuto che il pregiudizio dei social media fosse un serio problema.
Una semplice panoramica delle risposte a domande circa la censura dei social media, ha poi rivelato che gli elettori che hanno condiviso contenuti politici sono stati quelli che hanno trovato la censura più sensibile rispetto ad altri che condividevano post di carattere generale.
Inutile dire che questi studi hanno rafforzato quindi l’ idea dell’esistenza, sempre più crescente, di censura e parzialità da parte dei social media.
Esattamente come nei media tradizionali.
E in Italia?
Alcuni fatti recenti, come la chiusura dei profili Facebook di Casa Pound, e la non-chiusura del profilo del caporedattore RAI Radio1, Fabrizio Salini, su cui pur l’azienda di Viale Mazzini ha avviato un procedimento a causa delle sue parole di odio politico (ADN Kronos), potrebbero farci pensare che anche in Italia si stia avviando un “ostracismo-social” contro la destra.
Non ho abbastanza elementi per giudicare (lascio eventualmente al paziente lettore commentare). Faccio però un’osservazione: in un mio precedente articolo evidenziavo come anche in Italia, come negli USA, (e in Francia, e in UK) ci sia una certa tendenza dei media tradizionali a “tendere” verso sinistra. Ma dicevo anche che ormai ci siamo abituati e, magari, ci informiamo su altri media.
Il discorso dei social però è diverso:
- Sono praticamente un monopolio e, se fossero veramente politicizzati, sarebbe un vero guaio per la democrazia.
- Mentre i giornali (sicuramente quelli italiani) sono a carattere nazionale, i “social” sono internazionali, con una conduzione piuttosto verticistica, dagli USA. Quello che voglio dire è che, mentre i social media potrebbero prendere, negli USA, decisioni di censura verso le pubblicazioni di post locali (nell’ipotesi che ci sia veramente censura) a seguito di informazioni disponibili in-loco; quelle che volessero prendere in Italia, mi chiedo, con che mezzo le otterrebbero per farsi un’idea su cosa censurare ? Leggendo i nostri giornali ? O usando ingenuamente le chiavi di ricerca ? Ricorderete che il sig. Caio Giulio Cesare Mussolini, candidato di Fratelli d’Italia, ebbe il suo profilo temporaneamente oscurato.
- https://languages.oup.com/word-of-the-year/shortlist-2018
- https://www.idka.com/imagine-a-social-media-platform-with-no-political-bias/
- https://reclaimthenet.org/social-media-bias-political-survey/
- https://thehill.com/hilltv/what-americas-thinking/421238-poll-majority-of-americans-think-social-media-companies-are
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