domenica 31 maggio 2020

Scienza e poesia, assieme, sono le chiavi per la “Teoria del tutto”? di Achille De Tommaso 21-5-2019

 La scoperta più notevole fatta dagli scienziati è la scienza stessa.

Questa scoperta deve essere paragonata all'importanza dell'invenzione della pittura e della scrittura nelle caverne, che consideriamo arti. Come queste prime creazioni umane, la scienza è un tentativo di controllare ciò che ci circonda entrando in esso e comprendendolo dall'interno.
E come loro, la scienza ha sicuramente fatto un passo fondamentale nello sviluppo umano e non può essere invertita.
Jacob Bronowski


LA SCIENZA HA DA TEMPO DESTABILIZZATO LA POESIA
Il poeta inglese John Donne pubblicò, An Anatomy of the World, nel 1611, un anno dopo l’apparizione dei primi resoconti di Galileo sul suo lavoro con il telescopio.
Cosa aveva rivelato Galileo ?
Aveva rivelato che, all'improvviso, l'universo veniva punteggiato da10 volte più stelle di prima. La percezione del posto della Terra in quell'universo, più esteso di quanto si pensasse, veniva gettata alle ortiche; e, con essa, le convinzioni metafisiche, correlate alle concezioni precedenti: esse non valevano più .
Donne, pur non completamente convinto dalle nuove teorie che ponevano il sole al centro e la Terra in un semplice vortice, spento e non infuocato, le prese sul serio abbastanza da poter sentire il suo senso interiore vacillare. E scrisse una cosa di cui vi do un estratto:

E la nuova filosofia chiama tutti nel dubbio,
L'elemento del fuoco è abbastanza spento;
Il sole è perso, e così la terra,
e l'intelligenza di nessuno
può dirigerlo bene verso dove cercarlo.
E liberamente gli uomini confessano che questo mondo è spento,
Quando nei pianeti, e nel firmamento.
ve ne sono così tanti; e nuovi ...
Tutto cade a pezzi, tutta la coerenza è andata ...

"È tutto a pezzi, tutta la coerenza è sparita", scriveva Donne. Mischiando scienza con poesia.
Parte del suo compito di poeta era stato, secondo lui, fino ad allora, di integrare le informazioni sulla natura con le sue credenze e le sue emozioni.
È difficile quindi immaginare un cambiamento concettuale più profondo di quello sperimentato durante il primo secolo della scienza moderna.
La rivoluzione copernicana significava che le persone non potevano più fidarsi dei propri sensi. L'esperienza di osservare il girotondo solare attorno alla Terra, come si potrebbe continuare a testimoniare ogni giorno, non era più la verità. Quale può quindi essere il valore dei sensi, dell'esperienza, dopo aver appreso che la verità, per essere vera, richiede prove, misurazioni e verifiche collettive?

Questa forzatura del nostro senso fondamentale (la vista) verso l’accettare teorie che ne sono in contrasto, non è per noi, oggi un problema. Ma la scienza (insieme alla sua testarda figlia: la proliferante tecnologia) non ha rallentato nel presentare agli artisti nuove realtà destabilizzanti e sconcertanti.
Mentre corriamo dentro il secondo millennio, i vertiginosi cambiamenti, nel caos di teorie quantistiche e genomiche; della neuro-fisica del cervello; delle biotecnologie della riproduzione; della ricerca della Teoria del Tutto (sono solo esempi), che possono mandare anche lo scienziato dilettante in uno stato di vertigini permanenti; possono sicuramente far brancolare, a maggior ragione, il poeta.
Infatti la visione, da entrambi i lati, della frattura disciplinare, sembra stia nel fatto che la poesia e la scienza siano fondamentalmente discipline opposte; se non addirittura ostili l'una all'altra. Gli scienziati sono seri ricercatori; i poeti sono festaioli che giocano con sensazioni ed emozioni.

SCIENZA E POESIA SONO COME TESTA E CUORE NEL CORPO UMANO? O SONO DISCIPLINE OPPOSTE?
E anche a voler essere più seri: non è vero forse che gli scienziati cercano una teoria chiara, verificabile ed elegante; mentre i poeti (soprattutto i contemporanei) creano oggetti che appaiono sempre meno come modelli ben lavorati (ricordate i sonetti? Le rime baciate? Quelle sì che erano “ben lavorate”!). Mentre i prodotti dei poeti sono quindi sempre più simili alle nebbie.
La visione popolare, in verità, li demonizza entrambi: gli scienziati sono i dissidenti dal cuore freddo, di tutto ciò che è; il poeta è il folle erede di strane forze pagane, non sempre comprensibili. Ma possibile che non ci sia qualcosa che li unisca? Non sono quindi fatti, scienziati e poeti, per incarnare la divisione mitica nella civiltà occidentale tra la testa e il cuore?
Per molti no. Posso ancora ricordare il mio insegnante di fisica, in piedi alla lavagna, che spiegava la scienza quasi come fosse un incrocio su un'autostrada. Ciò che poteva essere testato e misurato prendeva la strada della scienza; l'ignoto prendeva l'altra.
Ma come potrebbero le grandi domande poste sulla natura dell'esistenza essere state separate in soggetti, professioni, vocaboli, che avevano poco da dirsi l'un l'altro? Non erano tutti, non era tutta la conoscenza e l'ignoranza, uniti dal semplice desiderio di conoscere il mondo fisico?
Possono mai queste due visioni essere separate? Possono mai unirsi?
E gli agganci, a guardar bene, ci sono. La scienza è diventata, oggi, non più la sede dei fatti, ma il luogo in cui sono state poste le domande più interessanti sui fatti. Non importa quanto il rigore della scienza richieda l'Obiettività: ci sarà sempre la curiosità e lo sconcerto di un essere umano che si stupisce per i dati che raccoglie; e questo è poesia. E si comprende quindi l’affermazione di Heisenberg: "anche nella scienza, l'oggetto della ricerca non è più la natura stessa, ma l'indagine dell'uomo sulla natura".

E si noti, poi, come il significato mitologico della scienza continui ad attirare le persone; ma non semplicemente con fatti emozionanti e scientifici, come "Il Big Bang", "l’Entanglement Quantistico" o "La Giungla Neurale"; ma con anche aspetti poetici, che la scienza instilla assieme alla ambiguità e alle incertezze di cui è permeata. Nessuno può non riuscire a percepire, infatti, come gli eventi scientifici attuali svolgano un ruolo di primo piano nella nostra cultura, sia che comprendiamo gli eventi o meno. L'incredibile capacità di resistenza di "Star Trek" e “Star Wars”, in tutte le loro combinazioni e permutazioni di sottocultura, lo attestano. E quelle che ho citato sono opere di fantasia, di arte.

LO SCETTICISMO VERSO LA SCIENZA: l’INCERTEZZA DELLO SCIENZIATO SCAMBIATA PER INCAPACITA’; INVECE E’ POESIA.
Ma eventi scientifici reali: ricerche, per esempio, fatte con il telescopio spaziale Hubble, il progetto di mappatura del genoma, l’ingegneria biogenetica o l'estinzione di specie; incontrano come contrapposizione, spesso, scetticismo e anche ostilità. Vi siete accorti come oggi meno persone di anni fa credano, ad esempio, negli avvertimenti degli scienziati sul riscaldamento globale e sulla perdita della diversità, e sull’efficacia dei vaccini? Il loro scetticismo deriva anche dal fatto che, in modo fuorviante, il processo della scienza non viene ben comunicato dai media. Ciò che viene comunicata è l'incertezza, che è una fase necessaria per risolvere problemi complessi, e che non è assolutamente sinonimo di ignoranza scientifica.
E vi siete accorti, infatti, come la competenza stessa dello scienziato venga messa in discussione quando uno scienziato, dicendo la verità, afferma, magari in risposta alla sollecitazione di un giornalista, "Beh, non conosciamo la risposta a questa domanda"? Ciò che le persone non riescono ad apprezzare è che gli scienziati, nella loro instancabile attrazione verso l'ignoto, amano ciò che non sanno: è la poesia dell’ignoranza. Perché è questo che guida e motiva il loro lavoro; li tiene svegli fino a tarda notte; e rende quel lavoro poetico. Come ha scritto il poeta, premio Nobel, Czeslaw Milosz, "l'incessante sforzo della mente di abbracciare il mondo nell'infinita varietà delle sue forme con l'aiuto della scienza o dell'arte è, come la ricerca di ogni oggetto del desiderio, erotico."

ENTRAMBE: SCIENZA E POESIA NON USANO IL LINGUAGGIO “NORMALE”
Oltre alla ricerca, della scienza, anche il suo linguaggio attrae; la affascinante particolarità e musicalità del suo vocabolario, ad esempio, Non sono emozionanti e piene di mistero parole come "emolinfa", "zeolite", "crittogamma", "sclera", "xenotransplant" e "endolitico”?
E poi la ricerca di modelli significativi all'interno di casualità e complessità, e le amicizie e rivalità professionali tra scienziati, l'ineguagliabile gioia di fare una scoperta, la necessità di metafora e narrativa nel comunicare una teoria, e le applicazioni e le ramificazioni etiche delle proprie scoperte. Non sono fatti “poetici”?
C'è molto da guadagnare quando gli scienziati fanno irruzione nelle tecniche evocative della letteratura e quando i poeti, al contrario, fanno irruzione nella lingua e nella mitologia degli scienziati. La sfida per un poeta è di conoscere abbastanza scienza, in modo tale che il suo vocabolario diventi parte del tessuto poetico: in modo che nel processo di composizione, una metafora o un paradigma di dominio della scienza possa emergere come letteratura.
Inoltre, avete notato come, sia la scienza che la poesia, quando sono praticate con integrità, usino il linguaggio in una maniera fondamentalmente diversa da quella “normale”? Entrambe le discipline sembra che condividano il tentativo di trovare una lingua per l'ignoto, di sviluppare una sintassi ordinata per rappresentare con precisione alcuni aspetti del mondo attentamente visti.

ENTRAMBE LE DISCIPLINE UTILIZZANO LA LINGUA IN UN MODO PIÙ DISTINTO RISPETTO ALLA CONVERSAZIONE NORMALE.
Entrambe, al loro meglio, usano la metafora e la narrativa per creare connessioni inaspettate. E, come sottolinea l'immunologo e poeta ceco Miroslav Holub, "per le scienze, le parole sono uno strumento ausiliario". La scienza - nella tradizione della sua letteratura professionale - usa il linguaggio per la verifica, e conta sulle parole per avere un significato così specifico affinché esse non siano colorate da sentimenti e pregiudizi.
La scienza usa il linguaggio come se fosse un'altra forma di misurazione: esatta, definitiva e logica.
La poesia, invece, usa il linguaggio stesso come oggetto: le poesie sono fatte con parole e idee; e contano sull'imprecisione delle parole per creare significati e risonanze accidentali. L'ignoto, per la poesia, è nella lingua. Ogni poema è un esperimento per vedere se la lingua può trasmettere un senso formidabile dello sciame di energia che ronza nella mente.
L'eleganza e l'integrità di una teoria scientifica ha a che fare con l'esclusione di fattori soggettivi ed emotivi. L'eleganza e l'integrità di un poema sono create, invece, in gran parte, dal suo tono, dal termine letterario usato per descrivere la tonalità emotiva di un poema trasmesso dallo stile dell'autore.
Ma c’è un’antitesi importante in questo uso del linguaggio. Lo scopo della comunicazione scientifica è presentare i risultati al lettore, preferibilmente risultati che potrebbero essere ottenuti da un altro ricercatore seguendo le stesse procedure. Lo scopo della poesia è invece di produrre un'esperienza soggettiva, che non potrebbe essere ottenuta attraverso altri mezzi, se non con la disposizione unica degli elementi che compongono il poema: le parole.

LA POESIA DELLE SCOPERTE INATTESE
Comunque, mentre le due discipline utilizzano la lingua in modi diversi, sono invece affini nel loro processo creativo; soprattutto se la scoperta scientifica è casuale: la poesia che c’è in una scoperta inaspettata, è immane!
Il prof. W.I.B. Beveridge, studioso britannico di patologia degli animali, ha scritto diversi libri sulle procedure mentali che portano a nuove idee; sia nella scienza, nell'arte o in qualsiasi altra impresa immaginativa. "La maggior parte delle scoperte che aprono nuovi orizzonti", afferma, "sono per loro stessa natura imprevedibili". Molti processi non sono puramente razionali, ma dipendono dal caso, dall'intuizione e dall'immaginazione.
Egli analizza la parte che il caso gioca nella ricerca scientifica, delineando tre diversi tipi di scoperte e le definisce in tre modi: 1 - l'intuizione dalla giustapposizione casuale delle idee, che è un processo interamente mentale; 2 - l’ intuizione “eureka”, che deriva dall'interazione dell'attività mentale con il mondo esterno; e 3 - la “serendipità” (poi spiego cosa è, se non lo sapete).

L'intuizione casuale collega idee o informazioni apparentemente non connesse per formare una nuova relazione significativa. È come quei libri per bambini con le pagine divise a metà. Combini il tronco di un boscaiolo con le gambe di una ballerina e – all’improvviso - nasce una chimera.
L'intuizione di Eureka è rappresentata al meglio da due esempi classici. Durante la visita ai bagni, Archimede ha improvvisamente scoperto un principio fisico significativo che gli avrebbe permesso di misurare il volume di un oggetto in base alla quantità di acqua che ha spostato. Come sappiamo balzò fuori dal bagno e, tornando a casa nudo, gridò a voce alta che aveva trovato esattamente ciò che stava cercando. Mentre correva, gridava in greco: “eureka, eureka !”.
Il secondo esempio classico è quello di Isaac Newton che osservò una mela cadere da un albero e vide nel suo movimento la stessa forza che governa l'attrazione della luna sulla terra. Le intuizioni Eureka si verificano, spiega Beveridge, quando uno "cerca stimoli casuali al di fuori del problema".

Con la Serendipità, invece, si trova qualcosa che non si era cercato: un evento insolito, una coincidenza curiosa, un risultato inaspettato per un esperimento. Il termine fu coniato da Horace Walpole nel 1754 sul tema di un'antica fiaba che raccontava dei tre principi di Serendip. "Facevano sempre scoperte, per caso e sagacia, di cose di cui non erano alla ricerca". Esempi di serendipità sono Colombo, che trova il Nuovo Mondo quando cercava l'Oriente, e Fleming che scopre la penicillina quando la muffa gli cresce accidentalmente sulle sue piastre di coltura di stafilococco.
Penso alla poesia come mezzo per studiare la natura, come fa la scienza. Non solo molti poeti trovano il loro oggetto e la loro ispirazione nel mondo naturale. Ma il modo di agire di un poema è di per sé uno studio della natura selvaggia; poiché l'arte è la materializzazione di vita interiore correlata all’esterno; il territorio veramente selvaggio che l'evoluzione ci ha dato di esplorare. La poesia è un mezzo per creare ordine e forma in un campo unificato solo dal caos; è un atto di resistenza contro la seconda legge della termodinamica che dice, essenzialmente, che tutto nell'universo si sta esaurendo.
Per molte persone una divisione separa le discipline di scienza e di poesia. Per molti una non può entrare nel territorio dell’altra. La divisione è reale come una spaccatura che segna il confine che separa le nazioni. Ma un confine è sia una zona di esclusione che una zona di contatto, in cui possiamo scambiare alcuni aspetti della nostra differenza e, come le tribù vicine che si scambiano conchiglie, ottenere qualcosa che a noi mancava.

I PERICOLI DELLA SPECIALIZZAZIONE

Un pericolo per il nostro benessere collettivo è che il linguaggio continua a diventare sempre più specializzato nelle discipline professionali, nella misura in cui diventiamo sempre meno capaci di capirci l'un l'altro attraverso le molte divisioni psicologiche e sociali. E il pubblico “ignorante” diventa sempre meno disposto a provare a capire cosa dicono gli esperti. Anzi, lo contrasta.

Scrivendo le lezioni di Lowell ad Harvard nel 1925, Alfred North Whitehead prevedeva i pericoli della specializzazione. Nel suo lavoro sui fondamenti metafisici della scienza e del mondo moderno, il matematico avvertiva che, con l'aumento delle affinità scientifiche e tecnologiche
,"le funzioni specializzate delle varie comunità verranno eseguite sempre meglio, ma la direzione mancherà di visione”.
Analizziamo per un attimo questa visione scientifico-poetica: non è vero che stiamo arrivando a sospettare che il futuro dell'umanità sia in disaccordo con il benessere dell'intero pianeta? (Riscaldamento globale contro riscaldamento delle case e comodo autotrasporto, ad esempio).
Non essendo consapevoli che la nostra Terra comprende un enorme ecosistema al di fuori degli esseri umani. "Se le tendenze attuali continuano", ha scritto Beveridge nel 1980, "solo circa l'1% della superficie terrestre rimarrà nel suo stato naturale all'inizio del prossimo secolo e una grande percentuale delle specie animali sarà destinata all'estinzione (ricordo che è uno specialista di patologie animali)".
La civiltà sta accelerando il processo di evoluzione degli umani così ferocemente che le specie che contavano sull’evoluzione dei loro geni per sopravvivere, continueranno invece a perdere terreno; fino all’estinzione.
Sia per la scienza che per la poesia, le sfide, quindi, consistono (o dovrebbero consistere) nell'assumere la complessità delle domande più interessanti (formali, tecniche, teoriche e morali) all'interno dei nostri campi senza perdere la connessione con persone al di fuori di questi nostri campi.
L'idea della poesia con cui io sono cresciuto era come una fuga dal peso della comunità verso l'individualità estrema, un ultimo baluardo di individualismo aspro. (Il poeta scrive per se stesso!).
Ma, storicamente, la voce della poesia non è sempre stata interpretata come la voce più accentuata dell'individualismo. Tra le forme originali dell'umanità, l'arte era unificata con la preghiera e la scienza della guarigione. Poesie e canzoni erano manifestazioni di una voce collettiva, di incantesimi e visioni, di spiriti che tornavano dai morti. Tale poesia trascendeva l'individualismo, piuttosto che celebrarlo. Potremmo aver guadagnato molto in termini di raffinatezza tecnica e artistica attraverso le nostre discipline specializzate, ma: abbiamo perso la convinzione che possiamo parlare un linguaggio comune o cantare una canzone assieme?

MA PER CHI SCRIVE IL POETA? PER CHI RICERCA LO SCIENZIATO?

Se la poesia di oggi ha bisogno di qualcosa, ha bisogno forse di allontanarsi dalla sua soggettività insulare. Un poema deve raggiungere il completamento nel trovare un pubblico; e la sfida di oggi è quella di raggiungere un pubblico non composto esclusivamente da membri della propria tribù. Dobbiamo scrivere oltre i confini della differenza.
È una delle domande più frequenti poste ai poeti: per chi scrivi? E le risposte vanno dalla scrittura per i posteri alla scrittura per (o contro) i suoi predecessori letterari.
Io, se fossi un poeta (ho scritto in gioventù poesie, ma non mi considero tale) vorrei scrivere con un senso inclusivo di pubblico in mente, sperando di superare i confini che separano le persone le une dalle altre. Mi piacerebbe scrivere un poema che altri poeti apprezzassero per la sua ingenuità formale e che gli scienziati apprezzassero per la sua precisione nel frequentare il mondo fenomenico.

Il grande osservatore di biologia, Lewis Thomas, una volta ha sollevato la sfida:
Vorrei che i poeti fossero in grado di dare risposte dirette a domande dirette, ma è come chiedere agli astrofisici di fare i loro calcoli sulle loro dita. Quello che vorrei sapere è: come dovrei sentirmi sulla terra, in questi giorni? Dove è finita tutta la vecchia natura? Che ne è stato della massa selvaggia, contorcente, inavvicinabile della vita del mondo, e cosa è successo alla nostra eccitazione di panico a riguardo?
E se la scienza oggi ha bisogno di qualcosa, ha bisogno di uscire dalla sua obiettività insulare, dalla sua pretesa di trattare solo con fatti, e non con implicazioni etiche o motivazioni del libero mercato. Ciò che la scienza crea non è solo un fatto, ma una metafisica: ci dice ciò in cui crediamo sulla natura della nostra esistenza, e promuove relazioni sempre nuove con l'ignoto, solleticando così le acque più profonde della nostra soggettività.
I critici della scienza sbagliano nel dire che, a causa delle sue esigenze di oggettività, rigore e analisi, la scienza ci ha derubato di meraviglia e riverenza. I metodi possono a volte attenuarsi, le implicazioni scientifiche possono essere moralmente inquietanti, la tecnologia terrificante, ma da nessuna parte si possono trovare più fonti di rinnovamento che nelle meraviglie del mondo materiale, siano esse stellari o cellulari. Come diceva Karl Popper: “Ma riuscirà la Poesia a starle dietro?”

Il problema è la velocità con cui la conoscenza scientifica sta crescendo e la distanza crescente tra coloro che hanno una comprensione di questa espansione e coloro che non hanno la minima idea del suo significato. Durante gli ultimi 300 anni, EO Wilson e Charles Lumsden sottolineano che la scienza ha subito una crescita esponenziale, vale a dire che più grande è la sua dimensione, più velocemente cresce. Nel 1665 c'era una sola rivista scientifica, la Philosophical Transactions della Royal Society of London; ora ce ne sono 100.000. Nel 17 ° secolo c'erano una manciata di scienziati nel mondo; ora ce ne sono 300.000 solo negli Stati Uniti; e la conoscenza scientifica “raddoppia” ogni 10 anni.

“LA SEQUENZA” E’ FORSE LA CHIAVE MAGICA PER “IL TUTTO”

La “sequenza” è usata sia come forma poetica che scientifica, poiché la parola è usata, ad esempio, per descrivere il ciclo di vita di una stella e la disposizione dei geni all'interno dei cromosomi.
La sequenza poetica, da parte sua, come forma contemporanea, mira a una sorta di connessione frammentata in una lunga serie omogenea di poesie o una combinazione di linee poetiche e prosa; forse esemplifica l'idea che all'interno del caos ci sia una propensione intrinseca all'ordine (bell’esempio l’entropia)?
E mentre la natura del mondo rimarrà sempre evanescente per la poesia e per la scienza, non importa cosa facciamo per studiarla; troveremo sempre nuovi strumenti, come microscopi elettronici e letteratura, con cui misurare l'invisibile. E forme poetiche per descriverla.
Non è escluso che i poeti siano, (sicuramente desiderano di poterlo essere) come ha scritto Robert Kelly, "gli ultimi scienziati del Tutto".

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